Una delle emozioni più grandi di #wildborneo l’ho vissuta al Semenggoh Wildlife Rehabilitation Center, una piccola riserva naturale a pochi chilometri dal centro di Kuching, nel Sarawak, che dal  1975 cura gli esemplari di orango feriti o orfani attraverso un programma di riabilitazione che li rieduca alla vita libera. La riserva accoglie oltre 20 esemplari tra cui molte mamme con i loro cuccioli.

Ogni giorno i rangers coinvolgono gli oranghi più giovani in programmi speciali che insegnalo loro a sopravvivere in un ambiente naturale: arrampicarsi sugli alberi, saltare da un ramo all’altro e procurarsi il cibo. Si tratta di un percorso graduale che dura dai due ai quattro anni durante il quale gli animali continuano a vivere liberi all’interno della riserva, fino al momento in cui sono pronti per tornare a vivere nella foresta pluviale. 

Un lavoro impegnativo quello del centro ma che ha dato risultati importanti contribuendo in maniera importante alla sopravvivenza dell’orango del Borneo, specie che rischia di scomparire a causa della massiccia e sempre crescente deforestazione a favore delle piantagioni di palme da olio, che rubano spazio vitale agli animali. La riserva mira anche a sensibilizzare il pubblico alla cura e difesa degli oranghi, spiegando in maniera chiara e coinvolgente l’importanza che questa specie, così come tutte le altre presenti nel Borneo, ha per il futuro del pianeta.

La porzione di foresta della riserva non è sufficiente per garantire il sostentamento dell’intera popolazione di oranghi, per questo i rangers del centro ogni giorno mettono del cibo in alcune piattaforme sistemate all’interno del parco a cui gli animali possono accede liberamente. E’ proprio in coincidenza con gli orari dei pasti, alle nove del mattino e alle tre del pomeriggio, che è possibile visitare il centro e osservare questi enormi  primati librarsi tra gli alberi e avvicinarsi alle piattaforme per prendere patate dolci e banane, il loro cibo preferito. E’ importante dire che l’avvistamento degli oranghi non è garantito perché il centro non è uno zoo ma una riserva dove gli animali vivono liberi e autonomi e possono scegliere o meno di venire a prendere il cibo a seconda delle loro necessità. Visto l’alto numero della popolazione ospitata l’avvistamento è abbastanza frequente, ma se piove le possibilità di vederne si riducono notevolmente.
La prima volta che ci sono stata pioveva a dirotto, una di quelle piogge torrenziali tipiche di queste latitudini e ho visto solo un orango che si riparava buffamente dalla pioggia con delle foglie; ma la costanza mi ha premiato e tornata col sole ho vissuto una delle esperienze di viaggio, e posso dire di vita, più intense.
Immersa nel silenzio della foresta circostante ho ascoltato il rumore ovattato dei salti degli oranghi che parevano volteggiare da un albero all’altro sospesi tra le funi per poi atterrare a prendere il cibo e risalire rapidi lungo il tronco degli alberi, eleganti e leggiadri; ho osservato le mamme prendersi cura dei piccoli portandoli in braccio, cullandoli, porgendo loro il cibo o insegnando loro come muoversi e spostarsi: uno sguardo materno incredibilmente umano che esprime tutta l’intelligenza e la sensibilità di questi incredibili animali; mi sono commossa incrociando lo sguardo tenero e simpatico di un cucciolo intento a gustare tutto soddisfatto una banana mentre tendeva l’altro mano verso la mamma, a cercare un contatto fisico.
Penso che parte dell’emozione che osservare gli oranghi suscita sia dovuta alla loro straordinaria somiglianza al genere umano: gesti, movimenti e sguardi sono incredibilmente simili ai nostri. Guardarli muoversi liberi nel loro ambiente naturale diventa un viaggio nel nostro remoto passato, un modo per vedere e capire come siamo stati per riconoscere nei gesti affettuosi e premurosi delle madri quell’istinto materno e genitoriale che ci è rimasto dentro, ancestrale e incredibilmente intenso, nonostante tutti i cambiamenti e i condizionamenti che ci siamo costruiti intorno.
La visita al Semenggoh è una delle tante che si possono fare con una breve escursione di mezza giornata da Kuching, capitale del Sarawak. La riserva si può raggiungere in mezzora di taxi dal centro cittadino: chiedete a uno dei tassiti fuori dal vostro hotel e concordate un prezzo, solitamente partono da 150 ringgit (ca. 35 euro) ma si può trattare e scendere di un po’; la tariffa comprendere l’attesa di un paio d’ore al centro; un’alternativa molto più economica è l’autobus numero 6 (1,50 ringgit a tratta, meno di 40 centesimi di euro) che parte dalla stazione degli autobus di Kuching (appena fuori dal centro) e ferma davanti all’entrata della riserva, ma poi bisogna sobbarcarsi una strada di ca. 1.5 km parzialmente in salita fino alle centro, percorso da non sottovalutare sia se c’è il sole e la temperatura diventa torrida, oltre che umida, sia se piove a dirotto; personalmente ho preferito investire un po’ sul taxi.


A Kuching ci sono diversi hotel di varie categorie, visto i prezzi molto convenienti consiglio hotel di media-alta categoria per assicurarsi camere moderne, ampie e confortevoli di standard europeo. Io ho scelto l’Hotel Pullman Kuching che per meno di 70 euro a notte riserva stanze enormi e molto confortevoli, oltre che piscina e spa. Credetemi, dopo una giornata nella torrida e umida giungla, apprezzerete la fresca piscina di oltre 10 metri!