E’ un caldo sabato mattina di giugno, finalmente un bel sole dopo tanta pioggia, la giornata ideale per tornare a Venezia. Sul già affollato treno delle undici sale una comitiva di ragazze americane, le loro voci allegre riempiono il vagone; tra le parole che rimbalzano qua e là capto un emblematico  “first time in Venice“. Cerco di ricordare la mia prima volta a Venezia ma per chi come me è nato e cresciuto a una settantina di chilometri di distanza è difficile ricordarla; Venezia per noi veneti è come il vestito della festa, quello che indossi nelle occasioni speciali. Gite di classe, compleanni, la prima uscita con gli amici, romantiche fughe d’amore: i miei ricordi di Venezia si mischiano ai momenti più memorabili, occasioni tanto preziose da meritare di  essere suggellate da questa città così speciale.

Perché Venezia speciale lo è davvero! Mi sono spesso chiesta quale stupore possa provare  il turista straniero che arriva in città per la prima volta e uscendo dalla stazione si trova subito catapultato in un universo parallelo dove tutti i normali riferimenti sono stravolti: qui le strade sono canali, l’asfalto acqua, le biciclette imbarcazioni a remi, le auto motoscafi e i bus vaporetti. Persino il vocabolario urbano è diverso: le strade diventano calli, le vie lungo i canali fondamenta, le piazze Campi e Campielli e i quartieri Sestiere.
La maggior parte dei turisti usciti dalla stazione si riversa sulla via principale per raggiungere Rialto e San Marco, irrinunciabili tappe di un viaggio a Venezia. Ma per chi ci è già stato, è bello incamminarsi verso calli meno battute alla scoperta di una Venezia più intima e autentica, ed è proprio qui che vi voglio portare.

Uscita dalla stazione prendo e sinistra e proseguo lungo la via principale animata di bar e negozietti traboccanti di maschere e vasi in vetro.
Dopo poche centinaia di metri si arriva ad un ponticello e qui si prende a sinistra lungo la Fondamenta Pescheriae d’improvviso tutto cambia. Siamo nel sestiere di Cannaregio e proprio qui un tempo c’era il Ghetto, la zona dove gli ebrei erano obbligati a risiedere durante il periodo della Repubblica Veneta.
Lungo la darsena attraccano le barche che portano il pesce fresco alle bancarelle allineate sulla fondamenta. L’odore intenso del pesce si mescola con il vociare allegro dei venditori che attirano i clienti decantando la freschezza del pescato. Qui ancora si incrocia qualche turista, cartina in mano e naso all’insù alla ricerca di un indizio che lo conduca al suo albergo, ma in questa parte della città fatta di sottopassi, vicoli ciechi e calli talmente strette da passare appena non è facile destreggiarsi. Lungo la Fondamenta si aprono una serie infinita di sotoporteghi, sottopassaggi che introducono al labirinto di calli che si cela all’interno. Quello che cerco io è il sotoportego dei vedei, un nome curioso che chissà quante storie avrebbe da raccontare. Mi avvio lungo una stretta viuzza costeggiata da alte case di mattoni rossi, il sole fatica a penetrare in questi spazi angusti. Le voci di turisti e passanti scompaiono e il silenzio diventa assoluto, sento solo il suono dei miei passi. Un labirinto di stradine mi inghiotte, proprio quando sembra di finire addosso ad un muro si scopre che la via continua, ancora più lunga e stretta, poi d’improvviso in fondo il sole illumina l’elegante facciata di un edificio. E’ l’indirizzo che cercavo, La Domus Orsoni: un posto magico, uno di quei gioielli incastonati all’interno dei tanti giardini segreti veneziani. Orsoni è un’antica fornace ottocentesca, l’unica ancora attiva nel centro di Venezia: qui sapienti mani e ritmi artigianali forgiano preziosi mosaici d’oro e di smalto, un’alchimia segreta e affascinate che si rinnova uguale ogni giorno da oltre un secolo, come se il tempo si fosse fermato. Basta varcare la soglia del giardino per essere rapiti dalla magia del luogo, restando incantati ad osservare i mastri vetrai che estraggono dai crogioli paste di vetro incandescente trasformandole in preziose lastre colorate che poi le sapienti mani dei mosaicisti lavoreranno facendo diventare tesserine di mosaici. La magia della fornace può essere vissuta da vicino soggiornando nella Domus Orsoni, l’attiguo B&B aperto da qualche anno all’interno della dimora storica di proprietà della famiglia Orsoni: pavimenti originali del ‘900 realizzati secondo l’antica tecnica artigiana del terrazzo alla veneziana arricchiti da inserti in smalti e oro antichi, pareti e soffitti in marmorino e spatolato e bagni rivestiti di mosaici d’oro, il posto perfetto per rendere il soggiorno a Venezia indimenticabile.

Dalla fornace si può partire alla scoperta di Cannaregio lungo calli e ponti deserti e silenziosi anche nelle calde giornate estive, quando le vie centrali della città sono stipate di turisti. E’ così che mi accoglie questo Sestiere, lunghe fondamenta semi deserte bordate di case pastello che creano armoniosi giochi di colore; tra gli edifici che costeggiano i canali panni stesi ad asciugare al sole creano magnifici scorci dove la normalità della vita di tutti i giorni si mischia con l’eccezionalità di una città che non ha eguali. Passeggiando lungo le vie si sentono solo il vociare di qualche veneziano che sorseggia un bicchiere di vino fuori dalle tante taverne e il rumore dei piatti che esce da qualche finestra, dove una massaia è indaffarata a preparare il pranzo: stralci di vita veneziana lontani dalla ressa di San Marco.
Per pranzo scelgo una delle tante taverne che si affacciano lungo le fondamenta; qui i cartelli fotografici dei menu turistici sono rimpiazzai da lavagne dove i piatti del giorno sono scritti a mano con pastelli colorati e l’ordinazione presa al tavolo viene prontamente urlata alla cucina in puro dialetto veneziano.
Dopo poco mi viene servito un invitante piatto di pasta alla granseolache sa di mare e di laguna, condita dal sorriso cordiale dell’oste e dal chiacchiericcio animato che arriva dall’interno del locale, scandito dalla cantilena unica e inconfondibile del veneziano.
Non paga di tanto silenzio e pace, dopo il pranzo mi addentro ancora più nella profondità di questi quartieri periferici e arrivo a Campo S. Alvise, una piazzetta assolata che profuma di salsedine e dove il silenzio si fa quasi mistico a cospetto della candida austera facciata della chiesa che vi troneggia al centro. Alte mura di mattoni costeggiano una lunga via che dalla paizza si inoltra in un sonnolento quartiere residenziale dove l’acqua pare scomparsa e per un attimo Venezia sembra una città come tutte le altre, con balconi fioriti semi chiusi per schermare il caldo del pomeriggio e panni appesi lungo i davanzali che diffondono nell’aria profumo di bucato appena fatto. C’è persino un enorme campo da calcio che si fa spazio tra alte mura di cemento, uno spazio insolitamente grande difficile da concepire per Venezia.

Ma bastano pochi passi, una svolta dietro l’ultimo angolo e di colpo la città finisce e sembra gettarsi nell’enorme laguna, che qui si apre in una vista che spazia da Murano all’isola di San Michele.
E’ durato il tempo di un respiro, l’impressione che Venezia fosse diventata una città come le altre, ma anche in questi remoti spazi dimenticati dai turisti resta fedele a se stessa, la città che ha fatto un patto con l’acqua che dura da secoli; ed è proprio in queste soleggiate vie deserte lontane dai palcoscenici più celebrati della città che se ne può scoprire e assaporare l’anima più vera e autentica, lasciandosi cullare dal silenzio e dal vocio di dolci sonate di veneziano che rimbalzano tra campi e canali.