La nostra preparatissima Guida Turistica per Roma e Provincia, Valentina Nera, ci guida in un itinerario a Galleria Borghese.
 
I Borghese, di origini senesi, raggiunsero Roma a fine ‘500, dove possedevano “una vigna”, anche detta giardino. 
La villa in questione è l’attuale Parco di Villa Borghese, uno dei parchi più estesi di Roma, è delimitato da ben nove ingressi che ne consentono l’accesso dai quartieri centrali della città, Salario, Flaminio e Pinciano.
All’interno del parco si erge in tutta la sua maestosità il “Casino Nobile”, sede attuale della Galleria Borghese, fu fortemente voluto da Scipione Borghese, che lo fece edificare nel 1600 con la ferma volontà di realizzare un meraviglioso scrigno architettonico e artistico. Scipione, ricoprì un ruolo centrale nella Roma Barocca, soprattutto a seguito dell’elezione al soglio pontificio dello zio. Paolo V, al secolo Camillo Borghese fu eletto il 16 maggio 1605, ed è a partire dalla sua elezione che Scipione sacrificò ogni ambizione al possesso delle arti, diventando il “vero padron di Roma”. Il Cardinal nepote rinunciò a parti di eredità pur di ottenere le collezioni che già appartenevano alla sua famiglia; mutò il concetto di principe mecenate, in quello di principe collezionista.

 L’elemento di assoluta innovazione nel collezionismo Borghese fu che la famiglia non si servì mai degli artisti per identificare il duplice aspetto di potere e papato, al contrario, buona parte delle opere furono commissionate o acquistate per un puro e semplice godimento personale.
Tra gli artisti che Scipione tenne d’occhio sin dal proprio esordio c’è Michelangelo Merisi da Caravaggioche individuò tra molti altri con uno spiccato istinto di conoscitore ed estimatore. Attualmente sono in collezione Borghese sei dei dodici dipinti che appartenevano a Scipione, e ognuno di questi ha una storia particolare sia nella realizzazione sia nelle modalità con le quali giunse nel Casino Nobile.
Probabilmente di questi, soltanto il San Girolamo fu commissionato direttamente a Caravaggio da Scipione. Il Santo è rappresentato in maniera inusuale nelle vesti di scrittore e non in quelle di penitente, e dagli archivi risulta che si trovi qui sin dalla metà del ‘600. Per quanto riguarda invece, Davide con la testa di Golia, una commissione Borghese è solamente ipotizzabile; sia l’eroe biblico che il gigante Golia sono ritenuti da alcuni studiosi ritratti del pittore di età differenti. La datazione dell’opera risulta incerta, e alcuni tendono ad attestarla successivamente all’omicidio del Tommasoni, avvenuto il 29 maggio 1606, che costrinse il pittore alla fuga; questa datazione è avvalorata in particolar modo dalla drammaticità dell’espressione dei personaggi.
Per quanto concerne l’opera  la Madonna dei Palafrenieri è sicuramente riscontrabile dalle fonti un acquisto da parte di Scipione.
L’olio su tela fu realizzato nel 1606, ed era destinato all’altare della Confraternita dei Palafrenieri in San Pietro. Caravaggio scegliendo un tema tratto dall’Antico Testamento rappresenta la Madonna e il Bambino nell’atto di schiacciare con i piedi il serpente del peccato, affiancati dall’anziana Sant’Anna madre della Vergine. Il dipinto fu rimosso dall’altare della Confraternita per volontà del neo eletto Paolo V e confluì direttamente nella collezione del Cardinal nepote, che se lo accaparrò ad un prezzo irrisorio. Pertanto possiamo parlare di rifiuto di un’opera che non interpretava la linea della Chiesa Controriformata, o piuttosto di una volontà di Papa Paolo V di assecondare il suo nipote preferito?
Proseguendo, troviamo il San Giovanni Battista, l’opera era parte del bagaglio che Caravaggio portava con sé nel momento in cui, dopo quattro anni di esilio a seguito dell’omicidio Tommasoni, nel 1610 Paolo V gli concesse la Grazia e dunque la possibilità di rientrare a Roma. Stando alle fonti, questa è proprio l’opera che permise l’intercessione di Scipione presso Paolo V affinché tutto ciò avvenisse.
Infine, come non menzionare le opere che il Cardinale desiderava ed ottenne ad ogni costo; sia il Giovane con canestra che il Bacchino malato appartenevano a  Giuseppe Cesari detto il Cavalier D’Arpino, uno dei pittori più prestigiosi della Roma dell’epoca amato da Principi e Papi,  presso la cui bottega Caravaggio aveva lavorato per diverso tempo non appena giunto a Roma.
Entrambi le opere si datano al periodo degli esordi del pittore, e  mostrano il suo genio creativo e la facilità con la quale riusciva a rendere, forse ispirato dagli insegnamenti di Leonardo, i moti dell’anima insieme ad un’abilità “fiamminga” nella trattazione delle nature morte.
Le due opere, facevano parte delle centosette che nel 1607 Papa Paolo V confiscò al Cavalier D’Arpino e che confluirono direttamente nella collezione del Cardinale.
Scipione, indiscusso padrondella Roma Barocca, coadiuvato e sostenuto dal potente zio Papa, non esitò a prendere sia con le buone che con le cattive tutto quello che lo affascinava, e che riteneva degno della sua raccolta artistica.
Probabilmente il Cardinal nepote non fu affatto amato dai suoi contemporanei, ma resta il fatto che a noi, “moderni”, la sua arroganza spietata ci permette oggi di visitare un vero e proprio scrigno di meraviglie, che attraverso la varietà di temi, stili e periodi artistici, ci consente di ripercorrere in particolar modo le più importanti tappe dell’arte italiana.
 
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Valentina Nera

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