Considerata già dagli antichi Romani una delle otto meraviglie del mondo, Petra, la città scavata nella pietra nel cuore del deserto roccioso della Giordania, è una di quelle destinazioni che fanno grande un viaggio. Proprio il fatto che fosse catalogata come una delle Meraviglie del Mondo è stato il motivo principale che mi ha spinta a visitarla. Per la verità ci sono stata oramai diversi anni fa, quando ancora la mia macchina fotografica andava a rullino e i miei piedi avevano percorso per lo più strade europee, ma vi posso garantire che la bellezza di Petra rimane impressa nella mente per sempre, un’emozione impossibile da dimenticare.

La storia e la fortuna di Petra sono legate all’acqua e alla geografia: il fatto che si trovasse lungo le vie carovaniere che univano l’Asia al Mediterraneo e la presenza di acqua la trasformarono in una tappa obbligata lungo il viaggio. I Nabatei, popolo nomade di origine araba, vi si insediarono stabilmente dal VI secolo dopo aver scacciato gli Edomiti e la trasformarono in un importante snodo commerciale.
I Nabatei costruirono una città dove case e templi furono scavati nella roccia, consegnando di fatto Petra alla storia come una delle meraviglie architettoniche di tutti i tempi.
L’apice della potenza e della fioritura fu raggiunto intorno al I sec. a.C dopo il quale iniziò una fase di declino: la città divenne prima di dominazione romana, periodo durante il quale vennero aggiunti il teatro e il decumano, e poi araba. E’ incredibile pensare che una simile opera architettonica possa poi essere stata abbandonata al punto da perdersene memoria!

Ci volle lo spirito intrepido di un esploratore, lo svizzero Burckhardt, per riportarla alla luce. Questi, in un impresa che assomiglia molto alle gesta di Indiana Jones, decise di andare alla ricerca della leggendaria Città Perduta: travestitosi da arabo si spacciò per un pellegrino e nel 1812 si fece accompagnare a Petra con la scusa di portare omaggio alla tomba del profeta Aronne. Fu così che Petra uscì dai lunghi secoli di oblio.

A Petra bisogna arrivarci presto il mattino, prima che il sole del deserto arrivi alto in cielo rendendo l’aria bollente, e possibilmente prima che i pullman dei tour operator scarichino orde di turisti sulla spianata del centro visitatori. Il cammino verso il sito monumentale è lungo e a volte impegnativo, ci sono mezzi alternativi come cavalli o cammelli ma personalmente penso che non ci sia nulla di paragonabile all’inoltrarsi a piedi lungo la gola del Siq: un cunicolo stretto che si inoltra sinuoso tra enormi pareti di arenaria che cambiano colore quando i raggi di sole riescono a penetrare tra questi spazi angusti, accendendo le rocce di infinite striature di arancione, bianco, rosso e rosa. E se già questo incanta, non è ancora niente comparato all’emozione nel vedere apparire da dietro l’ultima ansa il Palazzo del Tesoro: anche se visto e rivisto in tante foto, il trovarsi di fronte dal vero è qualcosa che toglie il fiato e lascia senza parole. Alto quasi cinquanta metri e decorato con fregi e statue, quest’enorme palazzo è interamente scavato nella roccia. Anche se la funzione originaria rimane tuttora un mistero, si suppone fosse un mausoleo. Le stanze interne odorano di umidità e della penombra emergono le magnifiche venature delle pareti, come pennellate di colore: camminare per questi ambienti equivale ad entrare nel ventre della montagna, come un’enorme cattedrale di pietra.
Dopo il Palazzo del Tesoro la visita continua lungo la via detta delle Facciate, dove i tanti monumenti di Petra si svelano lentamente emergendo dalle rocce, come in uno di quei giochi illusionistici in cui i soggetti si nascondono tra le linee del disegno e si rivelano poi d’improvviso lasciando l’osservatore sbalordito. Il paesaggio tutt’intorno è surreale: l’ampia spianata del Wadi Musa, l’arido deserto di terra, pietre e sabbia, è circondata da alte montagne d’arenaria, un enorme canyon che cambia colore a seconda dell’inclinazione del sole, incendiandosi di rosso al tramonto.
Il Teatro Romano, risalente al I secolo d.C., anch’esso scavato nella roccia, si compone di tre file di sedute e può ospitare ben 4000 spettatori: una sinfonia di venature dal bianco al rosso al rosa che corrono lungo i gradini creando un gioco di colori straordinario, un esempio di come anche l’arte architettonica successiva ai Nabatei abbia voluto rendere omaggio allo stile di questa incredibile città.

Ma lo spettacolo più bello di Petra si trova più in alto e per raggiungerlo bisogna scalare i novecento gradini, anch’essi rigorosamente scolpiti nella roccia, che conducono ad un promontorio. Un percorso lungo e faticoso, reso ancora più difficile dalle alte temperature del giorno, ma che alla fine riserva una ricompensa di una bellezza difficile persino da concepire: il Monastero. Ricordo l’emozione, dopo l’estenuante salita sotto il sole, nel ritrovarmi difronte ad una tale meraviglia: un enorme tempio la cui facciata chiara, scolpita con colonne e fregi, pare emergere dalla roccia in cui è incastonata, leggiadra e maestosa, senza tradire nulla della fatica che una simile opera richiese.
All’ora del tramonto i raggi inclinati del sole colpiscono le rocce e d’improvviso tutto intorno si colora di rosso, e in basso la Città Perduta risplende alla luce calda dell’imbrunire: ero venuta per vedere una delle meraviglie del mondo e Petra non mi ha delusa.