Always on the move, sempre in movimento. E’ la prima frase delle bacheche introduttive del Red Star Line Museum, il museo inaugurato lo scorso settembre ad Anversa e che la città ha voluto dedicare a tutti quei migranti che proprio da questo porto si imbarcarono verso una nuova vita.

Da sempre l’uomo ha sentito l’esigenza di spostarsi, di cercare nuovi posti dove vivere: un istinto innato che ha segnato il destino dell’intera umanità e scritto la storia di generazioni.
La moltitudine di gente che tra la fine dell’800 e i primi decenni del 900 arrivò ad Anversa per lasciare il Vecchio Continente era mossa dalla disperazione, quella data dalla fame, da una vita di stenti e da un’economia agricola al ristagno che costringeva sempre più persone a cercare fortuna altrove. Provo ad immaginare l’angoscia di padri e madri costretti a portare la famiglia attraverso un oceano che allora doveva sembrare invalicabile, verso un mondo totalmente sconosciuto ed ignoto: un coraggio infinito frutto della disperazione più nera, l’ultima spiaggia prima di arrendersi ad un destino di fame e stenti.
Quello in cui si imbarcavano i migranti era un viaggio che iniziava ancora prima di salpare, partendo dalla Germania, dall’est Europa e dalla Russia per arrivare ad Anversa, con in tasca i soldi, raggranellati a fatica, per il biglietto della traversata in terza classe.

Sono queste storie, difficili e sofferte, che il museo narra, con grande umanità e delicatezza, mettendo al centro della storia la gente, le loro vicende, i loro sogni. Una storia raccontata dal punto di vista dei protagonisti più umili, una narrazione che cerca di restituire tutta l’angoscia ma anche la dignità e la forza della gente.
L’esposizione è allestita all’interno dei magazzini storici della Red Star Line, la compagnia di navigazione proprietaria delle navi che traghettarono questa moltitudine di genti in un viaggio attraverso l’Oceano fino alle sponde canadesi e statunitensi. I magazzini, rimasti inutilizzati per lunghi anni dopo che la Guerra segnò il brusco interrompersi delle migrazioni, sono un patrimonio importante per la città, simbolo di quel ponte verso l’America che Anversa rappresentò per molti anni.
L’intento del museo è anche recuperare questi spazi mettendoli al centro di un’opera di riqualificazione dell’aria portuale, rendendoli moderni centri polifunzionali che ospitano, oltre al museo, mostre temporanee e diventano ambienti di aggregazione per cittadini e turisti.
Nell’ampia sala centrale incontro Luc Verheyen, il capo progetto, che mi racconta i lunghi anni di lavoro impiegati a raccogliere informazioni sui migranti e le loro storie, la difficoltà nel reperire informazioni, rintracciare persone e familiari, ma anche la gioia quando una storia finalmente veniva ricostruita.
Emblema di queste ricerche è l’iconica immagine di una ragazzina seduta su una panca che tiene in mano un biglietto della Red Star Line.
Luc racconta di come abbiano a lungo cercato di risalire all’identità della giovane diffondendo la fotoun po’ ovunque: l’ipotesi più accreditata è che si tratti di Kattyna Szysz, ma non ci sono dati certi in merito alla sua identità.
Osservo il suo volto serio che sembra bucare la fotografia, quei suoi occhi grandi che raccontano il senso di smarrimento di fronte al viaggio verso l’ignoto che si apprestava ad intraprendere.
Il percorso espositivo ricostruisce fedelmente le tappe che i migranti dovevano affrontare nel lungo viaggio verso la nuova vita oltre oceano. Ogni avventura iniziava da un’agenzia viaggio nella loro città natale, dove una serie di volantini decantava l’America come la nuova Terra Promessa e pubblicizzava la traversata. I poster della Red Star Line sono vere opere d’arte che restituiscono il gusto e le atmosfere del tempo con la stessa potenza delle immagini moderne, pur potendo contare solo su disegni.
Il  percorso continua in uno dei vagoni ferroviari nei quali i migranti intraprendevano il lungo viaggio verso Anversa, dove soggiornavano in sudici hotel in attesa del lasciapassare all’imbarco.
Era proprio dentro ai locali della Red Star Line che iniziava l’iter più difficile, con le prime visite mediche atte a decretare l’idoneità dei passeggeri al viaggio. I controlli erano scrupolosi perché dall’altro lato dell’oceano le autorità statunitensi respingevano gli individui non perfettamente sani, per evitare il diffondersi di epidemie.
Lungo il percorso sono stati ricostruiti gli spogliatoi e le docce dove i migranti, divisi tra donne e uomini, transitavano: alcune foto originali dell’epoca sono situate esattamente nello stesso punto dove furono scattate, creando una sorta di file rouge  che trapassa il tempo ed unisce passato e presente, immergendo il visitatore nella dimensione di allora e creando un contatto emotivo con i protagonisti della storia.
Un’intera sezione del museo è dedicata alla ricostruzione meticolosa delle storie di sei migranti, scelti a rappresentanza dei due milioni che transitarono per questi ambienti.
E’ qui che “incontro” Ita, che nel 1922 all’età di nove anni si imbarcò per Ellis Island per raggiungere il padre assieme alla madre e ai tre fratelli. Arrivata a destinazione, fu respinta perché ammalata di glaucoma, un’infezione oculare allora molto diffusa.
Fu così costretta a lasciare la famiglia in America e ritornare ad Aversa dove rimase un anno in affidamento ad un’associazione di volontari. La storia si ripeté una seconda volta quando Ita di nuovo fu respinta e costretta a ritornare in Europa. Il ricongiungimento con la famiglia avvenne solo cinque anni dopo, nel 1927: provo ad immaginare l’angoscia della madre dovendo lasciare una bambina di nove anni e il terrore di Ita, sola con un oceano a separarla dalla famiglia.

E’ tra queste bacheche stipate di foto, lettere manoscritte e video con interviste ai discendenti dei migranti che capisco come l’arrivo in America non rappresentava la fine ma l’inizio di un’odissea, che spesso terminava ancora prima di poter iniziare, con un timbro rosso sui documenti “denied” a segnare la fine della speranza. Ma anche per gli ammessi, l’arrivo negli Stati Uniti segnava l’inizio di un difficile cammino alla ricerca di un lavoro e di una casa, e di una fortuna che a volte non arrivava, costringendo molti a tornare in Europa ancora più poveri di prima.
L’esposizione continua fino ad arrivare alle sale dove viene ricostruito il ponte di una delle navi della flotta e dove si può ammirare uno splendido esemplare in scala di una nave, che restituisce il senso di queste meraviglie dei mari, veri gioielli di ingegneria. Qui è facile capire come la traversata per i passeggeri di 1° classe fosse molto più confortevole di quelli di terza, stipati in anguste cabine nei ponti più bassi. I passeggeri più facoltosi potevano invece godere di ambienti lussuosi, sale ristoranti rilucenti di porcellane e argento e magnifici ponti dove passeggiare all’aria aperta.
L’ultima parte del percorso ricostruisce il momento dell’arrivo ad Ellis Island, il più grande centro di smistamento di tutti i tempi, da cui transitarono oltre 12 milioni di passeggeri. E’ facile immaginare l’angoscia dei migranti, stremati dal viaggio e timorosi di vedersi respinti ai lungi controlli sanitari condotti qui. Quello di Ellis Island era di sicuro l’ostacolo più grande dell’intera epopea, lo scoglio contro cui molti avrebbero visto infrangersi tutte le speranze di iniziare una nuova vita.
Nell’ultima sezione il museo diventa ancora di più patrimonio di tutta la comunità, non solo della città ma di tutta Europa, invitando i visitatori a raccontare e condividere le storia di migrazioni della loro famiglia, dando la possibilità di cercare negli archivi del museo nomi e tracce di un loro passaggio per questi ambienti.
Una storia collettiva che riguarda tutti: Anversa in primis, comunità formata da oltre cento nazionalità, simbolo della multiculturalità di una città fervente centro di scambi e crocevia di genti fin dal medioevo; storia d’Europa, che da qui vide partire molti dei suoi cittadini delusi e sfiniti da una vita di miseria e disperati al punto da lasciarsi tutto alle spalle per inseguire l’ignoto; storia d’America, di quegli Stati Uniti  che proprio su quella disperazione e quelle speranze gettarono le basi della loro storia moderna, assicurando a molti una nuova vita, più dignitosa e felice; storia passata che si ripete, nelle nuove migrazioni di oggi, dettate di nuovo da una crisi economica che spinge molti, giovani e meno giovani, a spostarsi altrove.

Vite in movimento, oggi come allora. Migration is a timeless story.