Rientrata da pochi giorni dal viaggio nel Borneo malese, mi barcameno tra gli effetti del fuso e la pungente malinconia del rientro che si mescola allo smarrimento che da il ritrovarsi di nuovo catapultata nella vita di tutti i giorni dopo un sogno durato tre settimane. 
Nel cominciare questo primo post su #wildborneo, inizierò col raccontarvi quello che il Borneo non è! 
Il Borneo non è una terra selvaggia popolata solo da antiche tribù  che vivono in piccoli villaggi con case di legno e paglia; non è un luogo ricoperto interamente da fitta giungla abitata da flora e fauna esotica. Anche questo polmone verde del mondo è stato piegato e plasmato dalla volontà dell’uomo che vi si è insediato abbattendo alberi e foresta per fare spazio a strade e città. 

Trasportati dall’entusiasmo delle immagini di natura selvaggia che il nome evoca, il primo impatto con il Borneo può essere deludente, come è stato il mio.
Il Borneo malese è diviso in due grande stati, il Sarawak a sud e il Sabah a nord, proteso verso le Filippine.
Il Sarawak è la regione più vicina alla Malesia peninsulare e la prima che ho visitato. 
La capitale Kuching mi ha subito sorpresa per la modernità delle sue costruzioni: ampie strade conducono dal moderno aeroporto fino in città e lungo il percorso magazzini stracolmi di merce di ogni tipo ed edifici con centri commerciali e grandi hotel hanno spento la mia smania di natura incontaminata, come una doccia gelata in una giornata afosa.

Ma sono bastate poche ore e la prima escursione appena fuori città per capire che il Sarawak, per fortuna, non è solo Kuching ma ben altro. E’ stata sufficiente una corsa in taxi di pochi minuti per lasciarmi alle spalle autostrade trafficate e grandi magazzini e ritrovarmi proprio lì dove volevo essere, lungo strette strade costeggiate da distese infinite di verde, interrotte qua e là da qualche casa solitaria. Il bello del Borneo è proprio questo, il fatto che la natura è lì, vicina e raggiungibile, la senti pulsare!
Se è vero che immergersi nel verde della foresta tropicale è semplice, è doveroso dire che per arrivare davvero nel cuore pulsante di quest’isola lussureggiante bisogna viaggiare ben più che pochi minuti e prepararsi a lunghi spostamenti per raggiungere le regioni più remote, lontane dalla civiltà e per questo più ricche di meraviglie naturali, di animali in particolare che si sa, tendono a star lontani dall’uomo… e come dar loro torto?!
Il Sarawakè la regione culturalmente più ricca del Borneo con una straordinaria varietà di popolazioni indigene tra cui gli Iban, i mitici e temibili tagliatori di teste; molte tribù ancora oggi vivono nelle longhouses, le tipiche abitazioni indigene dove convivono diversi nuclei familiari che vivono dei prodotti della terra e del guadagno che ricavano dalla produzione di oggetti artigianali.
Il Sarawak è una terra ricca anche dal punto di vista naturalistico dove si può trovare in scala ridotta l’intera varietà di ambienti naturali di tutto il Borneo: vaste distese di terre umide, bacini fluviali, grotte, imponenti cime montuose, altipiani, spiagge bianche e spettacolari scogliere.
Il Sabah, più a nord, è la regione più sfruttata turisticamente per l’eccezionale varietà faunistica: lungo le rive dei fiumi che la solcano vivono macachi, scimmie di diverse specie tra cui le scimmie nasiche che si trovano solo nel Borneo, oranghi, coccodrilli, elefanti asiatici e una grandissima quantità di diverse specie di uccelli.
Ma il Sabah incanta anche per la ricchezza dei suoi fondali, talmente straripanti di pesci e coralli di tutti i tipi da renderlo una delle mete più ambite dai sub di tutto il mondo. Nelle sue isole lambite da acque cristalline si può nuotare tra tartarughe marine, razze, pesci martello e infinite varietà di pesci tropicali.
Ma anche il Sabah, forse più del Sarawak, può deludere ad un primo impatto, perché la sua capitale Kota Kinabalu è ancora più caotica e internazionale di Kuching, una sorta di Kuala Lumpur del Borneo. E il Sabah, ben più del Sarawak, mostra i segni dell’avanzamento dell’uomo, con interi porzioni di foresta pluviale rase al suolo per fare spazio a piantagioni di palma da cocco da cui si estrae l’olio di palma, di cui lo stato è uno dei maggiori produttori al mondo. Assistere a questo scempio fa male al cuore, come sentire le guide spiegare che gli avvistamenti di animali lungo i fiumi sono sempre più frequenti perché lo spazio vitale libero a loro disposizione si assottiglia sempre di più e questi sono costretti, loro malgrado, ad avvicinarsi ai corsi d’acqua, nonostante i tanti turisti che li solcano.
Un fenomeno che, se rende ancora più speciale un safari sul fiume, spinge a riflettere su come l’uomo anche qui dimentichi come la biodiversità, prima di qualsiasi altra cosa, sia il bene più prezioso per la terra e per noi.
Come avrete intuito, ci vorrebbero molte settimane per vedere tutta la straordinaria varietà naturale e culturale del Borneo: non disponendo di così tanto tempo ho dovuto necessariamente fare una scelta, creando un itinerario che mi ha permesso di vedere i parchi e le bellezze più note e più facilmente raggiungibili, senza però rinunciare ad un immersione nella giungla selvaggia lontana centinaia di chilometri dalla civiltà.

Ma di questo, e di tanto altro, vi racconterò nei prossimi post! 
Ciò che mi preme raccontarvi adesso è che se c’è una cosa che questo viaggio mi ha insegnato, è che bisogna avere un profondo rispetto per la natura, avvicinarsi in punta di piedi e ammirarla in silenzio, con il cuore gonfio di meraviglia ed emozione per lo straordinario spettacolo che va in scena di fronte a noi, e andarsene portando con sé il ricordo di quelle immagini e la consapevolezza che dobbiamo difendere questa meraviglia, perché la sopravvivenza di ecosistemi preziosi come quelli del Borneo sono la nostra unica garanzia per il futuro.